Pubblico l’intervista fatta a Gianfranco Franchi, autore del libro “Radiohead. A Kid. Testi commentati” che sarà disponibile nelle librerie tra il 15 e 21 maggio. Ringrazio ancora Gianfranco per la sua gentilezza e disponibilità.
Spero che questa intervista possa aiutarvi nel capire che tipologia di libro è “Radiohead. A Kid.” ma anche nel capire che persona vi è dietro tutto questo lavoro.
Buona lettura!


MAX: Gianfranco Franchi è l’autore di un interessante libro sulle canzoni dei Radiohead intitolato “Radiohead. A Kid.” che sarà nelle librerie tra 15 e 21 maggio. Gianfranco, quando sono entrati i Radiohead nella tua vita e cosa hanno rappresentato/cosa rappresentano per te?

GF: 1993, negozio di dischi; 1998, cimitero acattolico di Roma; 2003, Piazzale Michelangelo. Ti racconto tre storie. Nel 1993 avevo quindici anni. Avevo letto una recensione su un periodico: si parlava di una canzone che la stampa inglese aveva considerato cupa e suicida, proprio come era stato per Something In The Way dei Nirvana un paio d’anni prima. Io ero e sono un grande fan dei Joy Division, di fronte a un lancio del genere non potevo resistere. Forse erano i quindici anni, non so. Comunque: prendo le mie 30mila lirette e vado al negozio di dischi. Il commesso è decisamente contento di vendermi Pablo Honey, dice che non vende niente. Torno a casa, scarto il disco, accendo l’impianto, programmo la traccia numero due, a ripetizione. In Creep c’era qualcosa di niente affatto depressivo: c’era qualcosa di rabbioso, di viscerale. Di forte impatto. Il mio primo incontro coi Radiohead è stato questo: Creep ascoltata a ripetizione. Più che Something In The Way c’era Smells Like Teen Spirit, se proprio dobbiamo fare un paragone coi Nirvana. Più Digital che Atmosphere. Passa qualche anno. Nel 1998 (o 1999?) me ne andavo per il cimitero protestante, per salutare il povero John Keats (no, non sono un dark). All’altezza della tomba di Gramsci, uno strano tizio mi domanda in inglese se so dov’è quella di Pasolini. In Friuli, spiego. North-East of Italy. Quattro battute e questo mi dice che viene da Oxford. Per cosa conosci Oxford, per i Radiohead, dico. Sgrana gli occhi. A posto: “Io mi chiamo John Butcher. Suonavo nei TNT (non è vero, pare), sono parente di uno della band. Do una mano a scrivere i testi, insegno scrittura creativa in America”, e via dicendo. Per capirci: hai presente quando in “Exit Music” Mac Randall scrive che c’è una figura spettrale e mitica nella storia dei Radiohead, probabilmente inesistente? Ecco: io ci ho parlato una decina d’anni fa. Ed è stato grazie a questo ricordo se ho potuto pizzicare una valanga di cose difficili nei testi della band. Non solo per le cose che mi disse allora, ma per quelle che, di soppiatto, lui è andato a spifferare qua e là, nei siti web mondiali, negli anni. Quando agli amanti di Pynchon, quando altrove…
Infine, 2003. Piazzale Michelangelo. Concerto dei Low e dei Radiohead. Io c’ero e… il resto è raccontato, parte in “Monteverde”, parte in “Radiohead. A Kid”. Ti dico solo che, come ho scritto nell’introduzione, questo libro è sembrato “driven”, è sembrato teleguidato dall’alto. È come se non l’avessi scritto io, è strano. L’aspetto grottesco è che mi hanno commissionato un libro che avrei scritto gratis, prima o poi, magari soltanto per darlo agli amici. Perché da anni i Radiohead erano parte della mia vita, della mia narrativa e degli strani episodi che caratterizzano certi momenti della mia vita. Passiamo all’altra domanda…


MAX: Nella presentazione del libro troviamo scritto “Thom Yorke è una rockstar atipica: è innamorato della donna che ha conosciuto da ragazzo e dei loro bambini, passa il tempo libero con loro o con la band, parla volentieri della musica, del cinema e della letteratura che ha amato”: un ritratto perfetto di ciò che è Thom. Dopo un’introduzione del genere i fans dei Radiohead si aspettano molto da questo libro, puoi dirci che cosa ti ha spinto a realizzare questo libro e che cosa vi troveremo al suo interno?

GF: Della spinta abbiamo parlato. In generale, quando il direttore della Collana Testi mi ha chiesto se mi andava di dedicare un anno di vita allo studio delle lyrics di Thom Yorke, io gli ho detto “Così chiudo un cerchio”. Ho chiuso un cerchio sentimentale, privato, legato a una donna, e uno “predestinato”, legato a uno spettro che ho incontrato al cimitero, ai miei ascolti fortunosi di adolescenza, e via dicendo. Poi è successo che, mentre stavo studiando tutte le interviste di TY e compagni, i testi nascosti nei booklet e le recensioni e i commenti apparsi nei siti web di tutto il mondo, mi sono accorto che la stampa italiana aveva completamente distorto l’immagine della band e il senso delle loro canzoni. In un primo momento ero contento perché pensavo, con un pizzico di stupido egoismo, “fico: leggeranno la storia di una band nuova. Spiazzo tutti con ‘sto libro”. Poi me ne sono fregato. Io non sono nessuno. Ho capito che non dovevo esistere, che dovevo semplicemente restituire alla luce le reminiscenze, le letture, il senso delle battaglie di Yorke. È lui il libro. Era Yorke che stava scrivendo il libro. Thom è un combattente unico. Niente partito, niente chiesa, niente spalle coperte. È un antagonista, è un uomo coraggioso. È uno che va controcorrente con una semplicità e una naturalezza pazzesche. È uno che ha mescolato Monbiot a Pynchon, Chomsky a Douglas Adams, Elliot a Okri, Vonnegut a Goethe. È un letterato-rockstar, una figura stranissima. Potente. Necessaria. Un trickster, un paranoid android e una sorta di strano profeta biblico. Uno che ride della morte e della malinconia. Uno che soffre di nostalgia di casa perché a quella casa (a quella donna) appartiene. Uno che dovrebbe essere lasciato in pace, libero di leggere, ascoltare e creare cose nuove. Uno che sta combattendo per la difesa della sua anima, anche.


MAX: Il titolo del libro “Radiohead. A Kid.” nasconde con un gioco di parole il tuo album preferito? Oppure qual è il tuo album preferito e come è nato il titolo di questo libro?

GF: Il titolo originario del libro era “Paranoid Android”, per via di tutto quel che ho scoperto sulla canzone, e per via dell’adesione ironica di Yorke a Marvin, il paranoid android della saga di Douglas Adams. Assieme al direttore editoriale, Testani, abbiamo preferito una soluzione diversa. Ho proposto “A Kid” perché… sì, è un gioco di parole semplice e immediato, e poi volevo omaggiare il mio album preferito e infine… perché Yorke è come il pifferaio di Hamelin. Come On Kids. Questa è la storia del trickster, sin da quando era un kid.


MAX: Hanno un significato particolare per te l’artwork ed il testo che compaiono in copertina?

GF: Grande domanda. Sì, perché la creazione del maestro Ceccato, il nostro art director, s’è fondata su un mio consiglio. È uno dei segreti magici di questo libro. Nei mesi dedicati allo studio dei testi, delle fonti e dei romanzi e dei saggi nominati da Yorke (in inglese e in italiano, quando possibile), avevo un desktop. Quello che vedi in copertina. Non sapevo, mentre studiavo – per dire – i diari pubblici della band, o le interpretazioni proposte dai fan su songmeanings, che quel disegno mi stava portando sulla strada giusta. Alla fine dell’arcobaleno, diciamo così. Ceccato ha dato quell’effetto “carta da parati” a un’immagine che altrimenti avrebbe gridato: “Against Demons”. Potente, ti dico. E… magico. Vedrai, leggendo. Spiazzante pensare a come finisce un certo viaggio…


MAX: Douglas Adams, Thomas Pynchon, Lewis Carroll, George Orwell, T.S. Eliot, Kurt Vonnegut, Goethe e Dante. Sono una serie di personaggi che hanno influenzato Thom Yorke. Ci puoi dire che cosa ti ha colpito di più in questo rapporto tra musica e letteratura?

GF: Sì. Che da Oxford non ti attenderesti mai e poi mai una cosa del genere: non con tanta disinvoltura, e nessuna spocchia. Come niente fosse, Yorke ha restituito grandi pagine di opere letterarie – in narrativa, in poesia, in saggistica – al pubblico, nascondendole qua e là nelle canzoni. Un vero fan può ricostruirle, quando per via delle interviste o degli omaggi diretti (Orwell è il più facile da sgamare), quando per via dei propri studi. Il canzoniere di Yorke è scintillante di letteratura (e radio inglese, e tv inglese, e cinema occidentale: vedrai), e… e non è estraneo alla mistica. Questo è sorprendente. Molto. Studiando Yorke sono finito a studiare, per dire, le lamine d’oro orfiche, il libro tibetano dei morti, gli scritti di Rinpoche, le fonti di Dante, la Bibbia. Non è stato per niente facile. No. Ma è stato bellissimo accorgersi che molte cose avevano valenza letteraria. Io vivo di letteratura e di musica: et voilà che avevo tutto insieme. Quando mi ricapita?


MAX: Nel tuo libro sono incluse le analisi a brani inediti e b-sides e questo è fonte di grande interesse per i fans della band che in genere adorano questi pezzi. Hai trovato questi brani altrettanto interessanti da analizzare? Ti piacciono (musicalmente e non) b-sides ed inediti?

GF: Assolutamente. Io ero uno di quelli che si comprava più versioni di un singolo proprio per avere le B-side mancanti. L’ho fatto con i Radiohead, con i Verve (altezza Storm in Heaven, Northern Soul) e con poche altre band. Ho il culto delle B-side (se leggi “Monteverde” capirai perché). Da un punto di vista filologico, poi, è manna. Versioni incomplete, sporcate o provvisorie; stesure di testi poi superate; remix caotici, e via dicendo. Tutto significa qualcosa. Le B-Side dei Radiohead sono state fondamentali, in questo studio. Soprattutto quando ho trovato traccia delle prime versioni di certi pezzi; o quando mi sono accorto che certe parole apparivano solo nelle B-side (micidiale questa cosa, dal punto di vista psicanalitico). C’è il sito di un pazzo, citizeninsane, che mi ha regalato parecchie idee. Non è stato l’unico. B-side, booklet, sito (siti) web ufficiali dei Radiohead (incluso w.a.s.t.e., pynchoniano al massimo)… il libro s’è esteso a dismisura proprio studiando quel che gli altri nemmeno guardano. Ti dico: soltanto a leggere, studiare e meditare certe cose ero felice. Funzionava. Fitter, Happier, More Productive. E alè. Lunga vita alle B-side.


MAX: Presto sarai nelle librerie per promuovere “Radiohead. A Kid.” ma anche per promuovere un altro tuo libro: Monteverde. Vuoi dirci qualcosa di più su questo altro tuo lavoro e dare un motivo agli utenti di idioteque.it per venire a sentire ciò che hai da dire?

GF: Intanto ti e vi ringrazio per lo spazio. Sono un vostro fan e un vostro lettore. Idioteque.it era uno dei miei bookmark nei lunghi mesi di studio. Ogni giorno venivo da voi, andavo su atease e su citizeninsane, su greenplastic e su songmeanings, mi nutrivo di comunicati stampa, scambi di idee, pareri, emozioni, notizie, tutto. In un certo senso questa vostra pagina: https://www.idioteque.it/bibliografia/ mi è servita come stimolo e come motivo d’orgoglio. Dicevo: pensa se un giorno davvero finisco il libro e viene fuori qualcosa di degno, sai che spettacolo trovarmi là in mezzo? Per dire. E poi, per completare la mia bibliografia dei Radiohead, è da voi, da atease e da altre fonti che ho dovuto attingere: qui in Italia c’era veramente molto poco ed è stato all’estero che ho dovuto rivolgermi. Ecco, diciamo che è abbastanza ridicolo che abbiano tradotto quella mezzasega di Llorente, e non ancora Martin Clarke. Per dire. Ho risposto? Credo. “Monteverde” è un libro che mi piacerebbe fosse vostro solo nel caso in cui vi sembrerà che “Radiohead. A Kid” sia il libro della vita. Allora là dentro troverete un sacco di cose famigliari, generazionali, condivise. Rock, cinema, letteratura, donne, calcio. Io sono un narratore ancora abbastanza giovane, preferisco suggerirvi di leggere Douglas Adams prima delle mie cose. Credo accadrà anche quando avrò 50 anni, se ci arrivo. Everything in its right place.